Di Filippo Nardozza.
L’Abbazia di Opera è diventata da qualche anno – con Progetto Arca Onlus e Progetto Mirasole Impresa Sociale – una grande casa e un operoso luogo di formazione e lavoro, in pieno Parco Agricolo Sud Milano. Ospita una lavanderia e una cucina industriale, una bottega solidale con prodotti di qualità e presto un bar, spazi verdi da curare e spazi per eventi privati, in un circolo virtuoso che offre occupazione, anche per il vicino carcere di Opera. Un luogo protetto – ma aperto al pubblico e all’Arte – e propositivo, per chi (singoli e famiglie) ha visto la sua vita arrestarsi o prendere direzioni infruttuose.
“L’uomo è come una cassa armonica, in lui
risuona ciò che ha intorno. Se entra in un flusso di violenza, questa risuonerà
al suo interno. Così accade per la bellezza”.
E questo, dove discorriamo in un’ampia e
soleggiata corte agricola con Alberto Sinigallia – Presidente di Fondazione
Progetto Arca Onlus – è decisamente un luogo dove si respira bellezza.
Nella sua storia lunga otto secoli, l’Abbazia Mirasole (compagna delle altre abbazie che fiorirono nel medioevo nella pianura campestre alle porte del capoluogo lombardo) ha vissuto molte vite, tra abbandoni e rinascite.
Dal 2016 è risorta nuovamente per diventare – conservando il suo tradizionale fascino di meta per gite in campagna e spiritualità nel silenzio – un pacifico luogo del welfare e della solidarietà, una casa, una comunità, al servizio di persone e famiglie che vogliono rimettersi in gioco e ripartire. Per un periodo limitato di tempo, certo, quello necessario per riacquistare stabilità e autonomia e ricominciare – là fuori – proprio come da DNA del Progetto.
In tre anni – da quando è stato firmato il contratto di affitto trentennale con la Fondazione IRRCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, proprietaria
fin dal 1797 del bene storico – l’Abbazia Mirasole ha visto ruotare tra i suoi spazi e
attività unatrentina di persone, grazie alla cooperazione tra Progetto
Arca Onlus e Progetto Mirasole Impresa Sociale, che
gestiscono in chiave no profit l’anima sociale e l’anima
“commerciale” dell’Abbazia.
Al momento ci vivono – in grandi camere che si
affacciano direttamente sulla corte all’ombra della chiesa – tre mamme con i
loro bambini, che condividono un’ampia cucina, il soggiorno e una stanza
giochi per i piccoli, luminosa e colorata. In un’altra ala del
complesso, dove si trovano le casette (bilocali su due piani ricavati in
quelle che un tempo erano le botteghe dei monaci) vivono poi
altri nuclei: due famiglie con bambini (una è un nucleo padre-figlio), una
coppia di pensionati, un uomo single. Si tratta in generale di persone
segnalate dai servizi sociali dei comuni limitrofi (provenienti da
situazioni di disagio abitativo, in attesa dell’assegnazione di una casa
popolare) o “agganciate” attraverso le attività che da oltre vent’anni Arca
svolge al fianco di persone con fragilità.
Ma cosa si fa in Abbazia? Le attività lavorative che vi ruotano attorno attraverso l’impresa
sociale sono diversificate: c’è una lavanderia industriale per le necessità
abbaziali; una cucina industriale da cui escono circa 2.000 pasti giornalieri
prodotti per le mense e i dormitori di Milano; una bottega solidale, luogo di incontro e di relax con servizio di caffetteria, dove trovare prodotti
selezionati provenienti in parte da altri siti monastici e in parte da
cooperative solidali. Naturalmente, poi, anche la gestione del verde
abbaziale impiega persone: l’attuale giardiniere viene dal
carcere di Opera, con il quale la collaborazione è attiva, e da volontario sta
per essere assunto. C’è infine la parte di affitto spazi per congressi ed
eventi privati, anche matrimoni, nelle antiche e diversificate sale del
complesso.
Chi non è impiegato in stabili attività lavorative
aiuta comunque, nell’orto, nel frutteto o nel parcheggio. Come Luigi, 67 anni, qui con sua moglie Teresa. Per 40 anni ha
lavorato nell’edilizia, con un’impresa che alla fine è arrivata a contare 40
dipendenti. “Ma con la crisi del 2008 ho perso tutto. Le case dei
figli, l’ufficio, la villa dove io e mia moglie vivevamo: in un paio d’anni, il
lavoro di una vita è svanito. Oggi siamo in attesa di una casa Aler“
L’incontro con l’Impresa Sociale
e la possibilità di gestire insieme l’Abbazia ha “intercettato il
bisogno di Arca di andare un attimo anche al di là del primo aiuto
sempre (prima mission della Fondazione, ndr.) e di trovare
nuove vie per l’integrazione sociale. Ci ha permesso di alzare e allargare lo
sguardo, anche verso l’Arte, al di fuori dei luoghi ad essa tradizionalmente
deputati” racconta Sinigallia.
L’Abbazia Mirasole infatti resta
e anzi amplifica la sua funzione di luogo aperto anche all’esterno e in cui
portare cultura e nuovo pubblico: nella chiesa dalla semplice facciata
quattrocentesca si svolgono sempre più spesso concerti, proprio a supporto
delle attività di Arca; e negli spazi abbaziali incontri e conferenze, ma anche
ritiri, come quelli degli Scout.
E non ci si ferma qui. “Entro
poche settimane dovrebbe aprire un vero e proprio bar, gestito da detenuti del
carcere di Opera (al momento la piccola caffetteria nella bottega solidale è
mandata avanti da volontari). C’è poi l’intenzione di aprire anche un
ristorante, sperimentando innanzitutto il servizio pranzo, visto che nei dintorni
ci sono diverse aziende. Certo, solo per la manutenzione di tutta l’area
servono circa 300.000 euro all’anno.” conclude
il Presidente di Arca.
Differenti progettualità sono insomma sintetizzate in
un’unica proposta, che vede la spiritualità come risposta unificatrice,
l’accoglienza come aspirazione di vita e la cultura e il lavoro come strumenti
di realizzazione delle aspirazioni umane e sociali. Con quel
focus sempre sulla persona, accompagnata – quando pronta a ripartire da sola –
anche nella ricerca di un lavoro fuori dall’Abbazia, e nella partecipazione a
bandi per una casa.