Di Maurizio Anelli.
Ci sono giorni dove il mondo chiude gli occhi e lascia che
l’inferno si prenda tutto quello che vuole. Il 16 settembre del 1982 l’inferno
è entrato a Sabra e Chatila e non è più andato via. Tre giorni lunghissimi, dal
16 al 18 settembre, durante i quali il mondo abbassava lo sguardo. Nei campi di
Sabra e Shatila alla periferia di
Beirut le milizie cristiano-falangiste libanesi, con la copertura e la
complicità dell’esercito israeliano, eseguivano la mattanza che avrebbe
cancellato migliaia di vite.
Il pretesto per giustificare quel massacro fu la morte, in un
attentato, del presidente libanese Bashir
Gemayel, l’uomo forte dell’estrema destra cristiana-falangista e che non aveva
mai nascosto la sua ammirazione per il fascismo, arrivato al potere anche
grazie all’aiuto fondamentale di Israele. Erano i tempi dell’operazione “Pace in Galilea” voluta nel giugno 1982 da Ariel Sharon, all’epoca Ministro della Difesa e in seguito Primo Ministro.
L’operazione militare era condotta dall’esercito israeliano in simbiosi con
l’esercito del Libano del sud; l’obiettivo comune era la guerra contro i
movimenti e le forze che facevano riferimento all’Organizzazione per la
Liberazione della Palestina (OLP). Era l’inizio di quella Guerra del Libano che
durerà anni, fino alla vittoria di Israele. In quei giorni a Beirut non ci sono
più gli uomini dell’OLP di Yasser Arafat, come previsto dagli accordi voluti e mediati
dagli Stati Uniti, così i profughi palestinesi restano senza alcuna protezione
ed esposti a tutte le ritorsioni possibili. L’evacuazione di quasi quindicimila
uomini e combattenti, membri dell’OLP, cominciò il 21 agosto 1982. Se ne
andarono quegli uomini, fidandosi di quell’accordo che garantiva la sicurezza
dei Palestinesi rimasti: “… i Palestinesi non combattenti, rispettosi
della legge, che siano rimasti a Beirut, ivi comprese le famiglie di coloro che
hanno abbandonato la città, saranno sottoposti alle leggi e alle norme
libanesi. Il governo del Libano e gli Stati Uniti forniranno adeguate garanzie
di sicurezza … Gli USA forniranno le loro garanzie in base alle assicurazioni
ricevute dai gruppi libanesi con cui sono stati in contatto” . Queste alcune righe dell’accordo di cui gli USA si
erano fatti garanti, e pubblicate il 20 agosto 1982 negli stati Uniti. (American
Foreign Policy, Current documents, 1982, Dipartimento di Stato, Washington
D.C.)
Beirut, come tutto il Libano, è a quel punto totalmente sotto
il controllo dell’esercito israeliano: Sabra e Chatila pagheranno un prezzo
spaventoso, quella ferita sanguinerà sempre e niente potrà mai rimarginarla. Il
tempo ha dimostrato però quanto il pretesto dell’attentato a Bashir Gemayel fosse
falso: la strage di Sabra e Shatila non è stata una rappresaglia ma un massacro,
sicuramente pianificato in precedenza e preparato in ogni dettaglio. Sharon recitava
un mantra, mai nascosto, ripetendo in ogni occasione che duemila “terroristi”
palestinesi erano al riparo nei campi. Per Sharon, come per tanti altri, i
bambini di oggi possono essere i terroristi di domani e le donne possono
partorire bambini.
Per i falangisti di Gemayel quelle parole furono un vero lasciapassare. La
storia racconta di incontri in Israele tra Gemayel e il
Primo Ministro Begin, dove Gemayel prometteva
al leader israeliano di voler pagare il suo debito di riconoscenza per l’appoggio
ricevuto da Israele, determinante per la sua elezione. In un’ intervista alla
rivista “Time” parlava di una “grande manifestazione anti-palestinese e di
sostegno per Israele”. In altri incontri con Ariel Sharon nascevano i
presupposti per la firma di un trattato di pace tra il Libano e Israele.
Infine, pochi giorni prima del massacro ci sarà lo storico incontro fra Gemayel
e Sharon nella residenza estiva della famiglia Gemayel. Quest’ incontro sembra essere
l’atto che precede l’inferno. https://www.invictapalestina.org/archives/29923
Il 15 settembre Sharon, dopo aver circondato i campi di Sabra
e Shatila con i suoi carri armati, dà il via libera agli alleati “falangisti”
libanesi che entrano nei due campi. L’inferno comincia e dura settantadue ore.
Di notte i soldati di Sharob illuminano la scena con i bengala per agevolare lo
sterminio. Quel massacro senza la complicità dell’esercito israeliano, non
sarebbe potuto avvenire. La mattina del 18 settembre 1982 i primi giornalisti
che entrarono nei campi parlarono di un massacro tale da togliere il fiato. Il 20 settembre 1982, sul quotidiano Daily Mail, Elaine
Carey scriveva : “Nella mattinata di
sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce:
massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di
movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era
brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo.L’odore traumatizzante della morte era
dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole
cocente”
Robert Fisk , giornalista britannico, raccontava
che: “… Furono le mosche a farcelo
capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore.
Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della
differenza tra vivi e morti… camminammo in lungo e in largo per il campo,
trovando ogni volta altri cadaveri, gettati nei fossi, appoggiati ai muri,
allineati e uccisi a colpi di mitra. Cominciammo a riconoscere i corpi che
avevamo già visto. Laggiù c’era la donna con la bambina in braccio, ecco di
nuovo il signor Nuri, disteso sulla spazzatura al lato della strada. A un certo
punto, guardai con attenzione la donna con la bambina perché mi sembrava quasi
che si fosse mossa, che avesse assunto una posizione diversa. I morti
cominciavano a diventare reali ai nostri occhi.” https://www.globalist.it/world/2016/05/08/massacro-di-sabra-e-shatila-ce-lo-dissero-le-mosche-53280.html
Nel 2002 il Belgio aprì un procedimento a carico di Ariel
Sharon per crimini di guerra e Elie Hobeika, il comandante delle milizie
falangiste responsabili della strage, dichiarò la sua disponibilità a
testimoniare davanti a un tribunale. Venne assassinato, prima di partire per il
Belgio, in un attentato che fece esplodere la sua automobile. Ariel Sharon, sionista da sempre entrò
nell’esercito fin dalla nascita dello Stato di Israele e salì tutti i gradini
della scala militare, fino al grado di generale. Non esiste guerra di Israele
senza Sharon. Sul massacro di Sabra e Chatila lo Stato di Israele attribuì a
Sharon solo responsabilità marginali, indirette. Nessuna critica alla sua
complicità e alla sua partecipazione al massacro. Sharon morirà nel gennaio del
2014, avrà un funerale di Stato e il saluto di una parte rilevante della
diplomazia internazionale. Così il massacro di Sabra e Shatila resterà
impunito, nessuno pagherà di fronte a un tribunale internazionale. Terribile il
silenzio degli Stati Uniti di fronte a un crimine contro l’umanità commesso da
un Paese loro amico e alleato. Resta allora solo una pagina di storia, tremenda
e scritta con il sangue, che nessuno potrà cancellare. Resta la memoria che non
muore mai e combatte, come sempre, la sua battaglia contro i mulini a vento del
silenzio e dell’indifferenza di un mondo occidentale che è sempre troppo
occupato a guardare altrove, per riconoscere il dramma di un popolo, quello
Palestinese, che da sempre viene visto e considerato un “non popolo”, senza
alcun diritto.
Il silenzio, sempre complice di ogni orrore. E allora pensi
che quei campi di Sabra e Chatila sanguinano ancora e assomigliano così da
vicino a Gaza, nessuna differenza. La stessa solitudine, lo stesso dolore e lo
stesso silenzio. Restano la dignità e l’orgoglio umiliato del Popolo Palestinese,
un popolo senza diritti e che per gran parte del mondo non esiste. Chissà,
forse un giorno gli Uomini riusciranno a guardare dietro la propria storia e
vedere gli orrori sepolti in quel silenzio. Ma, anche quel giorno, Sabra e
Shatila non potranno essere dimenticate.