“A diciotto anni si diventa grandi … e Carlo è rimasto in questa piazza…”. Con queste parole, sul palco di piazza Alimonda, Haidi Giuliani ha iniziato a parlare con noi che eravamo in quella piazza. Non è mai facile raccontare un brivido quando arriva veloce come un lampo e attraversa la schiena fino a fermarsi in un angolo del cuore, al riparo da tutto e da tutti. Ti racconti che eri preparato, che Haidi Giuliani l’hai già incontrata altre volte, nelle strade di Genova e di Milano. Conosci quel volto e quella voce, sempre più debole ma al tempo stesso decisa, con il suo carico di dignità e di dolcezza. Allora abbassi lo sguardo e cerchi di non incrociare altri sguardi, altri occhi che luccicano. Fa caldo in piazza, il sole picchia e … sì, forse è per questo che gli occhi sono lucidi. Intanto ascolti le parole di Haidi Giuliani, riavvolgi la pellicola di quel brutto film girato a Genova nell’estate del 2001 con una trama scritta da tempo, preparata e calcolata con fredda lucidità: si doveva arrivare allo scontro finale, alla resa dei conti. Si trattava solo di aspettare il momento giusto, lo scenario che giustificasse lo scempio. La posta in palio, il risultato da ottenere sul campo, era uno solo: oscurare il successo e il consenso che cresceva attorno a quel movimento capace di sfidare i potenti della terra e che scendeva nelle strade a fianco dei migranti, degli emarginati e degli ultimi, capace di chiedere a voce alta un mondo diverso e migliore. Quel movimento stava crescendo nella sua azione e nella sua credibilità, aveva capito da tempo che la strada imboccata dal sistema era una strada di lacrime e sangue tanto a livello economico-politico che a livello sociale e umano. Le sue radici nel tessuto sociale stavano cominciando a dare frutti, per questo quel movimento doveva essere colpito ed estirpato proprio dal suo tessuto sociale e per farlo si scelse la strada della repressione più feroce, più violenta.
Haidi Giuliani, Foto di Maurizio Anelli
Sui giorni di Genova sappiamo tutto quello che serve per capire e per giudicare. Sappiamo con quale cura e con quanta premeditazione siano state preparate tutte le trappole che sono state messe in atto. Si poteva intuire tutto questo sin dal mese prima quando in Svezia, a Göteborg, la polizia aveva sparato contro i manifestanti e su quasi tutti gli organi d’informazione si parlava sempre di più, se non soltanto, delle tute nere dei “Black bloc” e di tutto quello che a Genova sarebbe potuto succedere. Si decise di alimentare un clima di terrore e di scontro alla vigilia del G8, si decise di dare il massimo spazio a tutto quello che poteva servire a creare quel clima di allarme e paura. In realtà si vedrà poi che ai “Black bloc” sarà permesso di tutto, mentre le violenze e le ferocie della repressione si abbatteranno sui corpi di chi non aveva nulla da spartire con i “Black bloc”. Nelle strade e nelle piazze di Genova, alla scuola “Diaz” e nella caserma di Bolzaneto, accadrà tutto quello che Amnesty International definirà come “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Sappiamo tutti che le carriere dei principali responsabili di quella macelleria hanno tratto grandi vantaggi dopo quella follia: nulla da aggiungere in proposito, resta il disgusto più profondo nei loro confronti e di chi non ha mai denunciato, di chi si è sempre nascosto sotto la mano protettiva dello Stato e delle Istituzioni.
Foto di Maurizio Anelli
Ma c’è un 20 luglio, e niente e
nessuno riuscirà a cancellare. C’è una piazza che si riempie ogni anno, che
ricorda e che vuole andare avanti, perché indietro c’è già stata. È una piazza
ricca di giovani e non più giovani, di colori, di musica e di canti sussurrati
o urlati a piena voce. Quella piazza è lì insieme a Carlo Giuliani e per Carlo
Giuliani. Accanto ad Haidi e Giuliano, genitori che non hanno mai perso la voce
e che da quel 20 luglio 2001 raccontano chi era Carlo, quali erano i suoi sogni
e dove e come provava a trasformarli in realtà. Quante generazioni dentro
quella piazza, ognuna con i suoi sogni interrotti e le sue sconfitte, ognuna
con le sue vittorie che a guardarle da vicino sembrano piccole ma in realtà
piccole non sono. Perché non arrendersi, guardare avanti comunque e nonostante
tutto è già una vittoria grande. Ognuno con il suo passato e il suo futuro, per
molti di noi il futuro è una finestra aperta dove il tempo è passato di corsa e
sta scappando via, più veloce di quanto noi potremo e sapremo correre. Per
altri il futuro è appena cominciato e c’è una vita intera davanti, per provare
a danzare senza paura e senza inganni. La memoria della follia, con cui nei giorni caldi di un
luglio del 2001 uno Stato vile e feroce ha chiuso i sogni nel recinto della
Città di Genova e li ha uccisi senza nessun ritegno e nessuna pietà, aiuterà
queste generazioni. Sapranno raccogliere il seme della dignità e della voglia
di un mondo diverso, il seme della ribellione a leggi ingiuste e a un sistema
che non può essere accettato e subito. A loro tocca ripartire dalle macerie che
questa società ha lasciato in eredità fregandosene del loro futuro, e loro lo
stanno facendo, a volte in silenzio e a volte in un fragore assordante che
merita tutto il nostro rispetto e il nostro essere al loro fianco.
E a noi cosa resta? Resta molto, resta la voglia di
continuare a esserci perché questa è la nostra vita e la nostra strada. Guardo e
ascolto il profumo di piazza Alimonda, abbraccio Haidi Giuliani e parlo qualche
minuto con lei. Mi tengo il suo sorriso e le sue parole, le metto al sicuro da
qualche parte nelle tasche della mia storia e so che un giorno le mie mani
cercheranno nelle tasche quelle parole e quel sorriso. Guardo Giuliano, il
padre di Carlo, e mi chiedo se io, da padre, sarei mai stato capace di avere
anche solo una piccola dose della sua dignità e del suo coraggio. Ascolto le
sue parole, la sua denuncia ripetuta una volta ancora e vorrei abbracciarlo
forte. Ma quello stupido pudore che noi maschi abbiamo dentro di noi,
m’impedisce di farlo, riesco ad abbracciare Haidi ma non lui e questo mi fa
sorridere di me: quando verrà il giorno che noi maschi riusciremo finalmente a
liberare tutte le emozioni che teniamo dentro, senza provare quel senso
d’imbarazzo e di pudore… Non lo so, ma forse un giorno ci riusciremo. Per
oggi, forse, mi basta una stretta di mano e un sorriso mentre compro il suo
libro: due copie, una per me e una per una persona speciale che oggi è in
piazza insieme con me. Un’altra volta, magari, riuscirò ad abbracciarlo con la
stessa facilità con cui ho abbracciato Haidi.
Quante cose mi ha trasmesso, oggi, questa piazza. Provo a raccontarle
dentro queste righe, dentro le fotografie che ho scattato e che voglio
condividere con chiunque sappia guardarle con gli occhi e con il cuore. Provo a
tenerle dentro di me, ma la finestra è aperta e il tempo corre, scappa via. Io
lascio la finestra aperta, vivo il mio tempo un giorno alla volta. Ci sarà il
momento più avanti per fare i conti con le sconfitte e i sogni. Perché non è
vero che la mia generazione ha perso… ci ha provato sempre, ha provato a
cambiare le carte truccate con cui ci hanno sempre imbrogliato. A perdere è
stato chi è rimasto davanti alla finestra, in silenzio, osservando e giudicando
solo i nostri errori e le nostre utopie, anche davanti alle violenze e alle
porcherie di uno Stato ingiusto. Come a Genova, in un’estate troppo brutta e
troppo calda per sembrare vera. Un’estate che non potrà mai essere dimenticata.
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