Di Maurizio Anelli.
Baciamo le mani, Signor Ministro. Il più umiliante dei gesti
sempre, ma anche il più significativo segno di potere da una parte e di fedele
sottomissione dall’altra. In visita ad Afragola il Ministro degli Interni si
compiace del bagno di folla e non si nega al baciamano. Dalla folla gli gridano
di eliminare Roberto Saviano e lui non fa una piega anzi… sorride e augura
“lunga vita a Saviano”. Indossa la divisa della Polizia di Stato, quello Stato
che lui rappresenta e quella divisa da cui ormai non si separa più. Strano che
nessun poliziotto si senta a disagio vedendolo con quella divisa addosso,
eppure succede. https://www.huffingtonpost.it/2019/01/20/un-uomo-urla-tra-la-folla-ad-afragola-matteo-elimina-saviano-e-salvini-risponde_a_23647534/
Afragola, Comune alle porte di Napoli, dove in meno di un
mese otto bombe sono esplose contro gli esercizi commerciali. Afragola che
scende in piazza contro la camorra e in prima fila c’è l’associazionismo che da
sempre è in prima fila contro le mafie. Eppure l’Amministrazione Comunale di
Afragola ha appena revocato a un consorzio di associazioni l’assegnazione di
una parte della Masseria Ferraioli, bene confiscato alla camorra. Il Ministro
Salvini giustifica con cavilli burocratici questa decisione.
Nel Mediterraneo intanto si continua a morire fra
l’indifferenza generale e il ghigno, irreale e malato, di colui che indossa la
giacca della Polizia di Stato in tutte le occasioni. Si muore, ma lui accusa le
ONG: è colpa loro se i migranti partono e muoiono in mare. Una gran parte del
Paese è con lui, sorride e bacia le mani. Sorridevano in tanti anche in
settimana, c’è stata una cena importante e non per tutti: seimila euro per
sedersi al tavolo nella serata promossa dal movimento “Fino a prova contraria”.
Una tavolata d’eccezione, politici, imprenditori, magistrati … persone che
contano nella vita del Paese: da Maria Elena Boschi a Flavio Briatore, passando
per Luca Cordero di Montezemolo e arrivando a Tronchetti Provera, Claudio
Lotito, Giovanni Malagò e l’immancabile Edward Luttawak. C’era anche lui ovviamente, il Ministro degli
Interni Matteo Salvini era seduto allo stesso tavolo del procuratore di Palermo
Francesco Lo Voi che lo aveva indagato per la nave Diciotti: Catania, Agosto
2018. Bizzarro destino, il Potere economico-politico e una parte della
magistratura a parlare serenamente di giustizia e garantismo. Certo non era la
serata giusta per parlare di quella cosa marginale che sono i quarantanove
milioni di Euro che il Partito del Signor Ministro ha sottratto agli italiani
e, probabilmente, non era la serata giusta nemmeno per parlare dello spettacolo
vergognoso e indegno che è stato offerto con l’arresto di Cesare Battisti. Dopo l’arresto in Bolivia, Cesare Battisti è
stato accolto all’aeroporto di Ciampino dal ministro degli Interni Matteo
Salvini e dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Da quel momento la
giustizia, la dignità e i valori umani sono stati calpestati a piedi uniti
dalle istituzioni con una violenza senza limiti. Quando un Ministro degli
Interni afferma che l’arrestato “deve marcire in galera fino alla fine dei suoi
giorni” umilia non solo la decenza umana ma viola anche la Costituzione e le
leggi dello Stato di Diritto. Quando un Ministro degli interni afferma che è
stato arrestato “un assassino comunista” ignora volutamente la storia. Non mi
sorprende nulla di Matteo Salvini, mi amareggia che nessuno ai vertici dello
Stato non abbia sentito il dovere di intervenire in prima persona. L’Associazione Antigone afferma che: “gli aspetti culturali e umani non sono le
uniche note stonate del video. L’associazione, che si occupa anche di diritti
umani e di carceri, ha evidenziato come in questo caso abbiamo assistito a una
“spettacolarizzazione di un arresto”, di una persona che sconterà
l’ergastolo. Ed è paradossale che una tale ‘leggerezza’ sia stata commessa
proprio dal ministro della Giustizia, che dovrebbe conoscere a menadito
l’Ordinamento penitenziario. Innanzi tutto esiste l’articolo 114 del codice di
procedura penale, che vieta “la pubblicazione dell’immagine di persona
privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta
all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica”;
ed è proprio la condizione in cui è stato ripreso dalle telecamere l’ex
terrorista”.
Non esiste codice etico che non sia stato violato almeno una
volta da questo “Governo del cambiamento” e il Ministro degli Interni tutto
questo lo sa benissimo ma il problema non lo tocca. Lo spettacolo mediatico
disgustoso, trasmesso da tutte le televisioni e ripreso da tutti i giornali è
un atto di violenza che una Democrazia non può accettare. Anche la violazione
del codice deontologico dell’Ordine dei Giornalisti e in particolare la
violazione della Carta di Milano, del Carcere e della pena, meriterebbe
l’interesse da parte dello stesso Ordine
dei giornalisti. Ma non avverrà, e mi dispiace.
È, infine, particolarmente grave e imbarazzante tutto il
corollario di apprezzamento e di stima nei confronti dell’attuale Presidente
del Brasile Jair Messias Bolsonaro, ex ufficiale dell’esercito brasiliano che
rimpiange i tempi della dittatura militare e della tortura e che in
un’intervista dichiarò che “La
situazione del paese sarebbe migliore oggi, se la dittatura avesse ucciso più
persone.” Bolsonaro che disprezza i “desaparecidos” generati dal regime
militare brasiliano e umilia i loro familiari dichiarando che: “Chi cerca ossa,
è un cane”. Fra quelle ossa ci sono
anche quelle di Libero Giancarlo
Castiglia, conosciuto come “Joca”. Era un ragazzo di Calabria, nato a San Lucido in
provincia di Cosenza. Uno dei tanti emigrati in Brasile sul finire degli anni
’50 insieme a tutta la famiglia, per trovare lavoro. La sua è la storia di un
immigrato, operaio metalmeccanico a Rio De Janeiro, che collabora con la
redazione del giornale comunista “A Classe Operaria”. Dopo il colpo di stato
dei militari, rimpianti da Bolsonaro, diventa anche lui un obiettivo degli
squadroni della morte militari in quanto attivista politico e come tale
braccato, arrestato, torturato e ucciso. https://www.repubblica.it/cronaca/2018/02/09/news/joca_il_che_guevara_di_calabria_che_sfido_il_regime_dei_gorillas-188401847/
La sua famiglia aspetta ancora
“quelle ossa” e la sua storia è ora conosciuta grazie a un giovane scrittore, Alfredo Sprovieri, autore di un libro
che aspetta e merita di essere letto: Joca,
il “Che” dimenticato.
È un’amicizia di cui lei è fiero e se ne vanta, Signor
Ministro. Non conoscere la Storia è grave, mistificarla è imperdonabile. Un
giorno le generazioni che verranno ci chiederanno dove eravamo quando un
Ministro degli Interni prendeva a calci in culo questo Paese, ci chiederanno conto
di un cimitero chiamato “Mare Mediterraneo” e
ci chiederanno dove eravamo quando la Giustizia e la dignità umana
venivano cancellati. Ci chiederanno perché siamo stati un popolo di complici
silenziosi e come abbiamo potuto farlo. A ognuno la sua risposta.