Di Maurizio Anelli.
Un anno passa in fretta, lascia sempre
qualcosa e qualcosa si porta via. Regala e toglie, ma non cancella nulla.
Esiste una linea sottile che separa la razionalità e la ragione
dall’irrazionalità. La matematica e la fisica sono razionali, rispondono sempre
a logiche che vogliono arrivare a soluzioni che non ammettono repliche, ma quasi
mai riescono a spiegare e raccontare quello che è custodito nelle pieghe
dell’emozione e dei sentimenti umani. Che strano animale l’Uomo quando sembra
aver paura di mostrare senza maschere quello che è nascosto in quelle pieghe.
Un anno passa sempre, si accumula su quelli che sono passati prima di lui ed
entra nel cassetto della nostra storia e ci spinge davanti allo specchio. Lo
specchio non mente mai, racconta anche quello che non abbiamo mai visto prima
per mille motivi ognuno dei quali aveva e ha le sue ragioni e i suoi limiti.
Difficile che i bilanci possano essere in pareggio, le bilance hanno sempre due
piatti e ognuno dei due racconta quello che siamo stati e quello che siamo
oggi. Il passato ci appartiene ed è un vissuto fatto di lotte e traguardi,
raggiunti attraverso vittorie e sconfitte. Le sconfitte lasciano segni che restano,
ma si torna a camminare, magari con qualche cicatrice in più ma in piedi e
consapevoli che la vita è qualcosa da assaporare comunque, un giorno dopo
l’altro.
Un anno passa in fretta, come
tutti gli altri passati prima di lui. Passano tutti e sono tanti, ma siamo
ancora qui a lottare contro le bestie che hanno scritto le pagine peggiori
della storia: l’ignoranza, il razzismo e la supremazia della razza, il
fascismo. Siamo ancora qui a chiederci perché la Palestina e la Striscia di
Gaza sono condannate a morte nell’indifferenza complice del mondo, perché i Curdi
devono lottare per tutte le vite passate e future, perché i muri crescono
sempre intorno a noi e… siamo ancora qui. Mi guardo allo specchio ogni giorno e
mi chiedo quanto tempo ho ancora dalla mia parte, mi chiedo quanto tempo serve
all’Uomo per capire e amare quell’idea che tutti chiamano vita. Mi chiedo quale
futuro avranno davanti a sé mia figlia e la sua generazione, e quelle che
verranno. Per un momento l’amarezza e la paura sembrano vincere facile, poi mi
pizzico la faccia e capisco che quel futuro dovranno e sapranno costruirselo
con la forza della loro mente e del loro cuore, forti della loro irrazionalità e
dei loro sentimenti che sapranno dare loro la forza di non accettare mai le
condizioni poste da altri.
Un anno passa in fretta e si
porta via qualcosa, sempre. Penso a Lele e mi accorgo ogni giorno di quanto era
bella e importante quell’amicizia fatta di parole semplici e mai banali. Penso
alla sua umanità, ironica e intelligente, a volte burbera e brontolona ma solo
in apparenza. Mai fermarsi alle apparenze, le persone si conoscono poco alla
volta, un giorno dopo l’altro. Solo così si riesce a capire la loro essenza e a
vedere che dietro quella maschera burbera tante volte si nasconde una dolcezza
ricca di amore per la vita . Mi manca Lele, ma guardo avanti perché indietro ci
sono già stato, e se qualche volta guardo dietro di me è per osservare quello
che comunque ho costruito credendoci sempre. Non l’ho costruito da solo,
qualcuno l’ha costruito insieme a me e lo so. Qualcosa di buono è stato fatto,
ma non può e non deve essere un autocompiacimento che impedisce di guardare
avanti. Nessun progetto particolare perché il tempo passa e corre più veloce di
me, ma un insieme di strade da camminare per continuare a costruire questo sì e
il tempo forse capirà e proverà a camminare più lentamente.
Un anno passa in fretta e
qualcosa lascia. Qualcosa che profuma di vita e che va difeso e protetto, e qualcos’altro
che invece ha l’odore del letame e va spazzato via, prima che sia tardi. È la
lotta eterna dell’Uomo contro l’uomo, una volta si chiamava Lotta di Classe.
Oggi sembra che questa parola sia dimenticata, come qualcosa che infastidisce e
di cui si ha paura eppure c’è ancora, anzi è entrata nella fase più acuta anche
se in troppi preferiscono fingere di non vederla. Oltre i nostri muri c’è una
carovana di ultimi che chiede il diritto di vivere e questo fa paura a noi che
viviamo dentro le nostre mura e non riusciamo a capire che le mura non servono
a proteggere, ma sono solo la gabbia che abbiamo permesso ad altri di costruire
intorno a noi per tenerci chiusi nel recinto. Un recinto, dal quale possiamo
solo guardare in silenzio lo scempio commesso ai danni della carovana. Vietato
uscire dal recinto, vietato aiutare la carovana, vietato alzare la voce,
vietato gridare “Basta”. Ma c’è sempre
qualcuno che non accetta di restare chiuso nel recinto e ci sarà sempre, oggi e domani, e dopodomani
ancora finche servirà. Sarà quel qualcuno che non accetta di stare nel recinto
a spazzare via l’odore del letame, in questo Paese e non solo. Servirà tempo,
ma il tempo passa in fretta, giusto ? E per quanto tempo possa servire il vento
spazza sempre via l’odore del letame, ovunque si nasconda. Non basta chiudere i
porti per fermare le carovane, la storia lo insegna. E non basta costruire un
recinto per fermare le menti e le persone libere, la storia insegna anche
questo.
Un anno passa in fretta, a volte
lascia qualcosa di bello e di importante. Ha gli occhi e il sorriso delle
persone con cui si è camminato fuori dal recinto, a testa alta. Ognuna di
queste persone ha la sua storia e la sua vita, qualche volta quella storia e
quella vita raccontano di schiaffi ricevuti ma che non hanno sconfitto la dignità, non hanno vinto. Perché chi
decide di uscire dal recinto ha una forza interiore sconosciuta ai tanti che ne
accettano le condizioni e i falsi privilegi.
Un anno passa in fretta, usciamo
dal recinto… c‘è tanta strada da fare.