5 agosto 2019. Nell’aula del Senato della Repubblica è il giorno del decreto-legge in materia di sicurezza pubblica: la stretta finale sui soccorsi in mare da parte delle navi delle ONG con le nuove norme sui migranti e l’inasprimento repressivo delle norme sulle manifestazioni pubbliche.
5 agosto 1938. Viene pubblicata la rivista “La difesa della razza“, direttore
Telesio Interlandi, anno 1, numero 1. La rivista aveva carattere
ufficiale e fu l’organo di propaganda del razzismo fascista più intransigente. Nel
suo primo numero pubblicò il Manifesto intitolato “Il fascismo e i problemi
della razza” firmato da alcuni dei principali scienziati italiani, e diventerà
la base su cui si appoggeranno le leggi razziali dell’Italia fascista. Il Punto 10 del
Manifesto affermava testualmente che “… I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani
non devono essere alterati in nessun modo. L’unione è ammissibile solo
nell’ambito delle razze europee, nel quale caso non si deve parlare di vero e
proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un ceppo comune e
differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi
altri. Il carattere puramente europeo degli Italiani viene alterato
dall’incrocio con qualsiasi razza extra-europea e portatrice di una civiltà diversa
dalla millenaria civiltà degli ariani. ”
foto tratta dalla pagina della rivista “La difesa della razza”. Anno 1, Numero 1 … pubblicata il 5 agosto 1938.
È
una strana coincidenza, ma spesso le date si prendono gioco della storia e a
volte non è solo casualità. Il lavoro per costruire i muri dell’odio ha bisogno
di tempo, e quel tempo serve per creare le condizioni dell’odio e lavorare
sulla psiche delle persone. Le persone vanno convinte un giorno alla volta del
pericolo e che non esistono alternative quando la situazione degenera. Allora si
crea il pericolo, si alimenta e si lavora per diffonderlo come un virus. Si può
discutere all’infinito se questo Paese sia razzista nelle sue radici o diventi
tale in base ai momenti storici che attraversa in base agli uomini che salgono
al potere. Resta un fatto che non può essere messo in discussione: è il Paese
che sceglie gli uomini e la classe politica e dirigente cui consegnarsi, e
questo è il punto. Oggi, agosto 2019, il punto è arrivato davanti a un baratro
da cui sarà difficile risalire.
È sempre difficile capire e provare a spiegare le ragioni che alimentano e
giustificano il razzismo: da una parte esiste
quel razzismo biologico da sempre legato al colore della pelle, alla religione
e alla cultura di altri popoli e, dall’altra si fa sempre più strada un altro
aspetto: il concetto di nazione e di
stirpe. Entrambi i concetti convivono sotto lo stesso tetto e oggi, nelle
parole e nei fatti, prende sempre più piede la convinzione che i diritti
debbano appartenere solo a chi è nato in Italia da genitori italiani. Non c’è
posto per gli altri. Quando si sceglie che per gli altri non c’è posto si nega
la storia e si manipola la realtà per presentarla a proprio piacimento, per
giustificare tutto quello che ne consegue a livello legislativo e a livello etico
e morale.
Il
decreto-sicurezza va in questa direzione. La stretta sui migranti va in questa
direzione, così come la scelta di inasprire pesantemente le pene nei confronti
delle ONG che salvano vite in mare. Da una parte si nega l’aiuto umanitario a
quella parte di umanità che cerca la vita e dall’altra si reprime pesantemente
chi non accetta questa strada e queste condizioni. Anche così si alimenta la
paura, e lo dimostra il crescente favore che gran parte dei cittadini accoglie
e accetta le leggi restrittive e repressive che riguardano tutti. Perché il
decreto sicurezza riguarda tutti: migranti, ONG e il dissenso nelle piazze e
nei posti di lavoro. Le modifiche, pesanti, in tema di ordine pubblico sono lì
a dimostrarlo. La chiamano “sicurezza”, ma la parola giusta è un’altra: si
chiama “repressione”. Non mancano le voci critiche, capaci di alzarsi con
coraggio in questi tempi di indifferenza e di mistificazione, ma queste voci
sembrano inascoltate e nascoste all’opinione pubblica, trovano poco spazio sui
media e nell’informazione ufficiale che, invece, preferisce dedicare spazio e
tempo ai personalismi e all’autocelebrazione di chi arroga a sé ogni decisione.
Eppure queste voci esistono, magari hanno origini e storie diverse fra loro, ma
vanno nella giusta direzione dell’umana solidarietà. https://video.repubblica.it/politica/decreto-sicurezza-don-ciotti-la-disumanita-non-diventi-legge/340996/341585.
C’è
un comun denominatore in tutto quello che si sta verificando in Italia e in
tante parti del mondo: la scelta di percorrere quella “strada bianca”, che
l’America ha sempre conosciuto e che non ha mai abbandonato. L’Italia di oggi e
gran parte dell’Europa assomigliano sempre di più a quell’America che sembrava
superata, sconfitta. Nel marzo del 1965,
in quell’America bianca, Amelia Boynton
Robinson diventò un simbolo della lotta al razzismo. Afroamericana, invitò
Martin Luther King alla marcia sul ponte di Edmund Pettus per reclamare il giusto
diritto di voto per i neri. Venne picchiata quel pomeriggio, ma continuò la sua
lotta fino a diventare la prima donna afroamericana a candidarsi per il
Congresso in Alabama. Quella marcia dovrebbe ripetersi oggi su tutti i ponti dell’Italia
e dell’Europa, sulle coste del Mediterraneo e in ogni città per cancellare
quella strada bianca dove il “suprematismo bianco”, che ha colorato di nero il
Novecento, ritrova forza e sostegno politico. Soffia ancora il vento
dell’intolleranza e del razzismo etnico, della paura verso “lo straniero” e il
“diverso”. È la strada dei muri e della
guerra agli ultimi. All’interno di questa “strada bianca” la polvere ha coperto
gli occhi e il cuore di tanti, al punto che anche chi non vuole camminare
quella strada si divide, si frantuma in mille rivoli che disperdono il senso
dell’agire per il bene comune. Come se ognuno ritenesse di avere in sé il
privilegio di saper trovare da solo la medicina, gli anticorpi. La storia ci
insegna che nessuno, da solo, riesce a cambiare il corso degli avvenimenti, ma
sembra che ormai il mondo abbia scelto la strada dell’individualismo,
dell’ognuno per sé… del tutti contro tutti. Questa potrebbe essere la vittoria
finale di quel sistema che ha sempre pianificato la sua ascesa, e la sua misera
grandezza, sulla distruzione di ogni sentimento collettivo e sull’illusione che
le classi e la lotta di classe appartengono a un passato che non ha più ragione
di essere. Invece le classi esistono, ora più di sempre, e quella che un tempo noi
abbiamo conosciuto come “Lotta di Classe” chiama ancora a gran voce. Quella
voce è l’ultimo grido di aiuto che non riusciamo a sentire, per stupida convenienza
o per rassegnata indifferenza. Dovremmo invece sentire e ascoltare quella voce
e farla nostra, capire che il razzismo non nasce solo della cattiveria umana ma
è anche il calcolo perverso del sistema capitalistico che alimenta la reazione
sbagliata delle fasce più deboli della popolazione che si trovano davanti a un
problema reale: la competizione ai tempi delle crisi. Karl Marx sosteneva che la mancanza di lavoro non è tanto un
fenomeno naturale, quanto un prodotto necessario all’accumulazione
capitalistica. In questo contesto i migranti rappresentano quello che Marx
definiva come esercito industriale di riserva: gli ultimi, disposti ad
accettare il niente per quei lavori che noi italiani rifiutiamo. Una guerra fra
poveri, che genera rabbia e rancore nei confronti di coloro che qualcuno ama umiliare
e descrivere come quelli “ che ci rubano il lavoro…”. La realtà dei fatti è
molto diversa: a raccogliere i benefici della migrazione è proprio il sistema
che annulla i costi di produzione e aumenta i profitti.
Dovremmo
capirlo oggi, perché domani potrebbe essere troppo tardi.
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