Di Alfredo Luis Somoza.
La crisi economica iniziata nel 2008 sta
confermando alcuni concetti fondamentali che già era possibile intuire molto
tempo fa. Un mondo deregolamentato è facile preda di interessi economici che si
fanno man mano più forti, perché è lo stesso potere economico a fornire
l’impalcatura sulla quale si articolano i cambiamenti che investono le società.
La cosiddetta rivoluzione smart ha modificato abitudini consolidate e posto
problemi dei quali è difficile intravedere le soluzioni. Alla liberalizzazione
del lavoro, con le società spaccate tra gli over 40, in buona parte ancora
tutelati dalle vecchie regole, e i giovani senza orizzonti lavorativi, farà
seguito il calo del fabbisogno di manodopera per via della robotizzazione.
Intanto sono state autorizzate le
cosiddette ottimizzazioni fiscali, che hanno diviso il mondo del commercio e
della produzione tra chi è sottoposto alla giurisdizione dei sistemi fiscali
nazionali e chi, invece, riesce a evadere l’obbligo contributivo. Un tempo
l’evasione fiscale era identificata con il piccolo commerciante o artigiano,
oggi viene praticata su scala mondiale dai grandi gruppi multinazionali che
operano e vendono ovunque, ma non pagano le tasse da nessuna parte. Le cifre
che circolano sulle imposte non versate da uno solo dei giganti del web o
dell’e-commerce sono di gran lunga superiori a quello che potrebbero evadere
tutti gli idraulici del mondo.
Anche il consumatore sta cambiando, con
innovazioni che tendono a isolarlo rendendo più difficile la socializzazione:
dalle casse automatiche nei supermercati ai fattorini che consegnano qualsiasi
cosa a domicilio 24 ore al giorno. Uomini e donne sono sempre più soli e sempre
più impauriti, perché il richiudersi nella propria bolla, tra persone che la
pensano tutte nello stesso modo, come accade nei social network, senza più
frequentare nemmeno la pizzeria aumenta le distanze. Distanze dal confronto,
dall’ascolto dell’altra campana, da tutte quelle persone che non sono
esattamente come te.
Questa situazione che si sta
consolidando in Occidente (e non solo) anticipa il mondo che verrà, e che alla
fine non sarà così diverso da molti scenari prefigurati dalla letteratura
fantascientifica: società suddivise in “isole” di persone, accomunate dallo
stesso potere d’acquisto e dagli stessi gusti, per scelta o per necessità. Le
bolle che si stanno creando riguardano la società tutta. Alla cultura dei
ricchi si contrappone la cultura dei poveri. Se i media parlano di viaggi in
luoghi esotici, se le proposte di alberghi partono da 500 euro a notte, se
quando si parla di automobili si pensa come minimo al fuoristrada, se si pubblicizzano
orologi da 2000 euro in su… è un costante suggerire alla maggioranza, a chi di
fatto non potrà mai accedere a simili consumi, che esiste un altro mondo
possibile, capovolgendo il celebre slogan di Porto Alegre. Un mondo da sogno il
cui biglietto d’ingresso si vince alla nascita, oppure lo si può staccare se si
ha una grande dose di fortuna. Ma, siccome i fortunati sono meno dello 0,1%
della popolazione mondiale, i sogni sono destinati a infrangersi mentre le
diseguaglianze continueranno a crescere.
In questi anni mediocri, la politica non
ha saputo proporre nulla di efficace e attraente per tamponare la
frammentazione sociale. Si è accontentata del mantenimento dello status quo,
senza disturbare più di tanto il manovratore. La stagione delle riforme progressive,
cioè intese a promuovere il progresso e l’inclusione, per ora sono archiviate.
Invece si attuano riforme regressive, cioè quelle che tolgono diritti acquisiti
o che li negano a categorie crescenti di persone. Una situazione
prerivoluzionaria, si potrebbe dire. Ma all’orizzonte non si vedono grandi
sconvolgimenti. Mancano due condizioni essenziali: il ritrovarsi in un progetto
di cambiamento insieme a chi vive i tuoi stessi problemi e l’individuazione
dell’antagonista. È vero che siamo tutti sulla stessa barca, come
insistentemente ci suggeriscono gli spot, ma uno solo è il proprietario. Tutti
gli altri sono ciurma.
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